Ricostruzione nelle frazioni: "non tutto va conservato"

 

 

 

- di Fulgenzio Ciccozzi «Il centro storico delle frazioni viene considerato alla stessa stregua delle abitazioni intra moenia del capoluogo abruzzese. Così è almeno per quanto riguarda una parte dei fabbricati di Roio. Case di semplice edilizia popolare, costruite con muri a sacco, assemblati con sabbia e pietra, per le quali non esiste alcun vincolo paesaggistico, vengono equiparate agli edifici signorili della città. È sufficiente che ci sia qualche novecentesco portale (quindi nemmeno tanto antico), di semplice manifattura, senza decoro alcuno, se non che rechi incise le iniziali del proprietario, la data di costruzione (peraltro segni di lavorazione uguali ad altre costruzioni), e comuni finali lapidei, affinché la soprintendenza alle Belli Arti lo consideri un edificio storico. Pertanto da tutelare. Anche se questo fabbricato fa parte di un aggregato che include altre costruzioni, le quali, benché non abbiano i modesti segni di “pregio” delle altre, possono seguire un altro iter operativo in fase di recupero. Dunque, nell’ambito delle stesse unità d’intervento pare sia possibile (tecnicamente permettendo) fare delle scelte di ripristino completamente diverse: abbattimento e ricostruzione per una parte delle case di cui si disquisisce e ristrutturazione per gli altri immobili. È bene sottolineare che questi edifici da recuperare non hanno un’alta valenza storica e architettonica, caratteristiche per le quali tutti converrebbero nel concedergli la giusta attenzione, ma di comuni case di civile abitazione. Nel nuovo contesto urbano della periferia della città, ristrutturare e ricostruire case nuove mantenendo un impianto villico medievale non aiuta certo a preservarne la memoria, ma resta solo una avvilente “illusione ottica” che tenta di riproporre in maniera forzosa un passato ormai intimamente legato solo ai nostri ricordi».
 



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