La Sezione del Club Alpino Italiano dell’Aquila dal 1921 ad oggi

La Sezione del Club Alpino Italiano dell’Aquila dal 1921 ad oggi-di Carlo Bafile
(da “Omaggio al Gran Sasso”, 1974)
Dopo la pausa del dopoguerra, la Sezione si riorganizza nel 1921 sotto la presidenza di Ettore De Vincentiis. La ripresa è lenta e difficoltosa e resta per qualche tempo nella fase preparatoria. Ma, quasi d’improvviso, nel 1924, affiora una vitalità ricchissima. Dal maggio di quell’anno ha inizio la pubblicazione del Bollettino Mensile che con perfetta regolarità sarà stampato fino al dicembre 1934. Di questo decennio intensissimo, dominato dalla personalità di Michele Jacobucci (prima Segretario e poi, dal 1926, Presidente) è superfluo ricercare tutti gli eventi, riccamente documentati sul Bollettino, ma è interessante tracciare un profilo. L’anno 1924 già rivela nuovi indirizzi di vita del sodalizio. La stessa creazione di un Bollettino documenta la diversa struttura sociale: non più pochi e quasi gelosi frequentatori della montagna ma una massa crescente di associati capace di dare giustificazione e sostegno ad una pubblicazione periodica mensile. E mentre inizia la pubblicazione del Bollettino, che coincide con la celebrazione del cinquantenario della fondazione della Sezione, già si pensa a due importantissime realizzazioni: la gestione del Rfugio Garibaldi e la costituzione, in seno alla Sezione, del Gruppo Sciatori, due avvenimenti che fruttificheranno assai più di quanto era prevedibile ed auspicabile dai promotori. Il Rifugio Garibaldi fu preso in affitto dalla Sezione di Roma per nove anni1. Eseguiti consistenti lavori di riparazione e di attrezzatura, fu possibile avviare la conduzione del rifugio con insperata fortuna. Jacobucci seppe trovare l’uomo giusto. Antonio Faccia di Assergi (universalmente conosciuto come “Pilato”) sin da giovane aveva saputo inventare una singolare industria della montagna: durante l’estate riforniva i caffè dell’Aquila di neve, impiegata per preparare i gelati, che andava a caricare a Campo Pericoli: era una attività che richiedeva una notevole organizzazione, perché il trasporto di quantitativi non trascurabili doveva avvenire nelle ore notturne ed in breve tempo. Pilato, anche con l’aiuto di altri compaesani e dei suoi figli, batteva tutti i giorni Campo Pericoli con numerosi muli, e nel Gran Sasso, in questa insolita miniera, vedeva la sua speranza di vita: egli avrebbe potuto vitalizzare il Rifugio Garibaldi; e così fu2. Per un decennio, mentre Pilato con la sua organizzazione di “vetture” riforniva il Rifugio di ogni cosa e trasportava anche i più comodi alpinisti che preferivano salire in sella fino a Passo Portella, i suoi figli Achille, Peppe, Marietta e Chiarina assicurarono un servizio inoppugnabile di accompagnamento sulle cime, e di ospitalità nel Rifugio. Sia dall’Aquila che da Pietracamela cominciarono ad affluire assidui frequentatori e il Rifugio Garibaldi diventò il centro nel quale confluiva un’attività alpinistica impegnata e ad un tempo spensierata e felice. Il Rifugio Garibaldi, così pieno di vita e così bene funzionante, non è stato soltanto una base per le ascensioni, ma il più importante fattore di spinta per la crescita numerica degli associati e per la formazione dei nuovi alpinisti.
 
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